Ci sono persone che a volte la vita inaspettatamente ci regala, sì, “regala” è proprio questo il termine che voglio utilizzare. Perché l’incontro con Valentina Tagliabue è stato davvero illuminante. Non ho avvertito il passare del tempo perché il trasporto con cui parla di quello che fa, ti coinvolge al punto da non accorgerti dello spostamento del Sole fino a quando non ti colpisce in pieno viso e ti rendi conto che devono essere trascorse delle ore.
Valentina è una ragazza delicata, dalla pelle candida ed è molto più giovane di quanto si potrebbe pensare nel parlare con lei. Ha ventun’ anni,è nata nel febbraio del 1992, abita a Bovisio Masciago e ha viaggiato molto, perché ama scoprire il mondo come ama ogni cultura. Ha iniziato a scrivere da piccolissima, la prima poesia risale all’età di cinque anni, all’asilo, quando ha scritto una filastrocca sui numeri e poi non ha più smesso. “Mi è sempre piaciuto, in prima elementare scrivevo per tutto quello che mi capitava. E ho sempre conservato la rima e l’assonanza”.
È precoce, ha partecipato a diversi concorsi letterari e collezionato vittorie già all’età di nove anni. Ha vissuto dei momenti molto difficili, espressi anche nell’intensa “Infanzia Rubata”, una poesia in cui racconta il dolore, la nostalgia per un’infanzia poco goduta e svanita troppo presto e il risentimento per gli adulti che non riescono a vedere questo dolore. Una sofferenza comunque, rischiarata dalla speranza di trovare una meta, da una semplice carezza o da un bacio sottratto. Alla fine della terza media comincia la stesura del romanzo “Cronache di un mondo a parte”, pubblicato nel 2009 dalla Zephyro, ma le vittorie, i premi speciali e le pubblicazioni non si fermano.
Sono tantissime le cose che ha da dire, quasi le esplodono dentro e spesso, durante la nostra conversazione, riesce ad anticipare quelle che saranno le mie domande. È intuitiva ed empatica in maniera disarmante. Quando parla di scrittura parla del suo essere, perché per Valentina la scrittura è uno strumento per comunicare la sua essenza, trasmettere ed entrare in comunione col mondo ad un livello che normalmente è quasi impossibile raggiungere.
Dimmi chi sei, la tua età, cosa studi, cosa ti appassiona.
“Io ho ventun anni e studio Psicologia in Bicocca, sono al primo anno e oltre a questo mi piacerebbe approfondire lo studio della medicina olistica, perché l’ho sempre amata e anche imparare di più sul mondo delle erbe, sul come utilizzare questi rimedi semplici per i piccoli malanni o i disturbi quotidiani. Pian piano mi piacerebbe mettere in piedi un centro che si occupi della psiche e del corpo delle persone. In tutto questo c’è di mezzo la mia attività letteraria che è vitale, mi tiene letteralmente in piedi, io nasco come poetessa”.
Quando è nata la tua passione per la scrittura.
“Ero molto piccola. Mia madre scriveva a livello amatoriale, purtroppo non c’è più e io ho raccolto il suo testimone, l’eredità di ciò che mi ha trasmesso. In un certo senso mi ha istruito, mi ha insegnato a leggere da piccolissima perché ero attratta dai libri, in casa ne avevamo tantissimi ed ero affascinata da queste cose colorate che odoravano del profumo delle pagine”.
Quali sono i tuoi autori e libri preferiti? Cosa leggi solitamente? C’è un libro che porti sempre con te?
A questa domanda Valentina sorride e si volta di spalle a mostrare la schiena, per farmi vedere un tatuaggio, la poesia ‘Annabell Lee’ di Edgar Allan Poe. Inchiostro indelebile sulla pelle per il poema che l’ha toccata tanto in profondità da farla scoppiare a piangere la prima volta che i suoi occhi hanno catturato quei versi.
“Non c’è però soltanto Poe, ce ne sono molti altri. Con i libri è così, l’autore ti fulmina. Il primo poeta che mi è piaciuto tanto e di cui ho letto di tutto e di più è Giovanni Pascoli. Ad esempio, ‘La Poesia’, una composizione in cinque parti che apre i Canti di Castelvecchio, e inizia con ‘Io sono una lampada ch’arda soave…’ ha questa bellissima melodia e una cadenza ritmica che non sconfina mai nel banale.
Per la prosa leggo veramente di tutto e tanto. Io sono del parere che i libri abbiano un minimo di vita e il mio nuovo romanzo inedito parlerà anche di questo”.
Quale sentimento ti domina nella scrittura, cosa ti spinge?
“L’ispirazione c’è sempre, a volte però mi stupisco perché mi trovo a scrivere cose che non c’entrano niente con il mio stato d’animo. C’è sempre un’energia di base che non ha una valenza positiva o negativa, è un’energia che sorge dal petto e che io chiamo ispirazione perché la sento come se fosse non mia, non ho la minima idea da dove giunga, se da dentro o da fuori, però arriva e io devo darle voce. Sono incatenata dal fatto di doverlo fare, che siano le due di notte o che sia sul treno e abbia solo il cellulare per scrivere, o la penna sul braccio e sulle foglie. In generale, credo di interpretare abbastanza bene una sorta di corrente attuale, quello che è oggi il dar voce a emozioni globali e non solo alla tua esperienza come individuo, quindi alla consapevolezza di un mondo con tutte le sue sfumature, anziché la solitaria e statica macerazione delle proprie sofferenze”.
Scrittrice a tempo pieno?
“Lavoricchio nei centri benessere, ho fatto una scuola e pratico il massaggio Ayurvedico, per tirar su due soldi ogni tanto, però non c’è molto lavoro. A settembre dovrò fare un po’ di conti e cercare di organizzare meglio il tempo per tutto quello che vorrei fare. Fermo restando che la scrittura resta e resterà sempre, perché è la mia vita, mi ha salvato tante volte da tanti momenti molto difficili. Mi piacerebbe molto farlo a tempo pieno, vivere di questo. Tra l’altro credo proprio che sia un buon linguaggio per me, perché faccio fatica alle volte a parlare col mondo con il linguaggio quotidiano, quindi comunico così. È la mia lingua”.
Quali difficoltà hai incontrato nel tuo percorso? Intendo emotive, pratiche o con le case editrici.
“Il mio percorso letterario, francamente, l’ho sempre preso come un nutrimento personale, come una necessità ma anche come un modo per guarirmi. A volte capita che quando scrivo, per fare ricerche o quando leggo delle belle cose, non mangio o non dormo tanto perché sono talmente presa che o mi dimentico o non ne sento la necessità.
La difficoltà principale che ho incontrato è che ormai tutti ti chiedono soldi per pubblicare. In questo senso per la poesia se ne può discutere, ad esempio per quanto riguarda l’acquisto delle copie, perché le porto alle presentazioni e le vendo, adesso infatti ne voglio comprare altre di mia iniziativa perché le ho finite. Alcune case editrici ti curano bene il lavoro e magari ti iscrivono ai concorsi. Ma la poesia è più di nicchia, per la narrativa invece sono assolutamente contro l’editoria a pagamento. Infatti il mio editore, la Zephyro, non mi ha chiesto niente per il libro, mi ha fatto un editing accuratissimo, coinvolgendomi in tutte le fasi, ma ci ho anche messo tre anni per trovarli. Pagando per pubblicare si rischia di trovare in giro tante cose improponibili, perché viene a mancare il garante della qualità. Io sono molto favorevole al fatto di mettersi in gioco, di ottenere anche venticinque no prima di un sì, perché il lavoro dello scrittore è anche questo, ti aiuta a migliorare e a crescere. Un libro va letto, riletto, curato, strutturato, ripreso e soprattutto scelto. Ci vuole tanto tempo”.
Hai mai trovato delle difficoltà, degli scogli?
“Per la poesia non proprio, perché quello che arriva viene da solo, spontaneamente, senza bisogno che io faccia chissà che cosa. Credo di essere solo un tramite, un canale, non penso di avere dei meriti particolari per le poesie che scrivo perché sono loro a cercare me. Per la narrativa, invece, ci sono degli scogli, io li chiamo delle ‘dieci pagine’ e delle ‘quaranta pagine’. Con il secondo romanzo, quello inedito, ho avuto le difficoltà che si hanno quando si affronta una storia da zero. Hai l’inizio, parti e arrivato alla decima pagina ti trovi a dire ‘e adesso cosa faccio? Non potrò mai fare una cosa del genere, cosa scrivo?’. Poi ti impegni e lo superi e arrivi intorno alle quaranta pagine e ti impianti ancora peggio e magari lo lasci lì per due o tre mesi. Quando lo riprendi, se riesci a riprenderlo, allora tiri fino alla fine, ti appassioni ai personaggi che poi diventano vivi e li tieni in vita tu”.
Una sorta di innamoramento per cui poi risulta difficile staccarsi.
“Esatto. Poi è difficilissimo staccarsene, io passavo le notti intere, saltavo le cene e i pranzi per scrivere. È una cosa che ti prende per ore e ore”.
Parlami dei progetti in arrivo.
“A ottobre dovrei fare una grossa presentazione nella biblioteca ‘Il Quadrato’ di Baranzate. Mi hanno invitato a fare questa enorme lettura di circa due ore e io ci metterò dentro un po’ di tutto, le poesie, il romanzo edito e anche quello nuovo. La mia amica Silvia suonerà il violino e poi ognuno interpreterà la propria parte in alcune scene del libro. In futuro, credo che starò un po’ più su quello nuovo perché è più proponibile, più recente e quindi più maturo. ‘Cronache di un mondo a parte’ è più difficile da raccontare, ci provo ma è molto personale e toccare determinate cose fa ancora un po’ male. Anche se ormai ho trasformato il dolore e il vissuto in un libro (perché è questo che si fa quando si scrive: prendi una parte di te, la metti sulle pagine e la doni al mondo) resta comunque un po’ doloroso parlarne. In questo senso il libro è vivo, qualcuno ci ha speso le notti, i giorni, il sudore, l’energia vitale e siccome nell’universo nulla si crea e nulla si distrugge, quell’energia vitale deve andare per forza da qualche parte e in determinati momenti arriva anche a te ed entra a far parte della tua vita lasciando un’impronta. Infatti, anche quando decidi di leggere un libro, lo fai perché qualcosa ti attrae e ti spinge a farlo, una determinata sensazione o una situazione particolare. E quella sensazione non scompare più, resta con il libro, gli dona un significato unico per te”.
Parlami dei libri che hai scritto, dei collegamenti con la tua vita, a che età li hai scritti.
“Quello su cui lavoro adesso, parla del potere della parola. È una storia simbolica ambientata nel nostro mondo, con nomi che conosciamo della letteratura e delle opere di narrativa. Parla di una scrittrice inerba che lavora in un negozio di fiori a Ginevra e si ammazza di lavoro, non ha finito gli studi e non riesce nemmeno a scrivere quanto vorrebbe, deve farlo di notte perché non ha tempo. Ad un certo punto una grande casa editrice svizzera si accorge di lei e la pubblica nella sua collana migliore, facendola diventare subito un’ autrice famosa, fino al giorno in cui, mentre si reca ad una presentazione importante, fa un’incidente d’auto e muore. Il libro inizia così. Lei si sveglia e scopre di essere uno spirito della carta, una creatura che si nutre di libri. Non è l’unica, ci sono appunto un sacco di scrittori delle epoche passate che sono ancora bloccati sulla terra nel tentativo di trovare tutte le loro edizioni, per poi scoprire che magari ci sono delle regole diverse. E ovviamente c’è anche qualcuno che gli corre dietro, un acchiappa fantasmi che non da loro tregua. Questo romanzo rappresenta il potere della parola e il nutrimento che danno i libri, i personaggi, infatti, ne parlano come di vero e proprio cibo, scherzandoci anche su. Battute su libri più leggeri o più pesanti –Quelli che ti restano sullo stomaco come i peperoni?- Esatto. Quelli che non sanno di niente, quelli amari, quelli succosi.
L’ho finito a gennaio e l’ho revisionato e corretto, ma sto ancora attendendo una risposta, in teoria entro luglio, ma non so, ormai il mese è quasi passato –non è ancora finito però- vedremo. Io ci credo tanto.
Poi nel 2012 è uscito ‘Di Fuoco e di Nebbia’, è una raccolta delle poesie degli ultimi anni fino al 2012. Si chiama così perché riflette la spiritualità celtica e del mondo irlandese che io adoro e che sento mia. Parla del fuoco che vive nell’animo umano, di tutte le sensazioni, l’impeto dell’arte, la rabbia, la luce ma anche della nebbia interiore, della malinconia, della contemplazione. Molte poesie sono dedicate alla natura e alla sensazione di grande comunione tra l’uomo e la natura. Perché entrambi riflettono in sé stessi ciò che avviene nell’altro e gli elementi naturali compiono quasi azioni umane come in ‘Alzati Vento’. Ci sono anche temi sociali, ad esempio ‘Il Cacciatore’ o sugli indiani d’America o ancora ‘Danza Terminale’ che parla della malattia di mia madre, il cancro, che l’ha portata via nel 2011. L’altro volumetto, quello precedente, l’ho pubblicato dopo aver vinto un concorso letterario ma è introvabile e ci sono le poesie fino al 2010. Questo lo sento di più.
Il primo romanzo, ‘Cronache di un mondo a parte’ l’ho scritto a 14 anni, ma la storia l’avevo in mente da quando ne avevo nove. Scriverlo è stato abbastanza facile perché racconta la vita quotidiana della protagonista, Jennet, in un mondo immaginario che è lo specchio del nostro. Non si tratta di un luogo epico di creature fantastiche e mitologiche, ma un mondo simbolico. Ho avuto cinque anni per immaginare la storia e vivere con i personaggi e in tutto questo tempo è come se l’avessi vissuto in prima persona, mi ci immergevo totalmente, svanivo, finché non arrivava qualcuno a scuotermi e farmi ritornare al presente. Mentre Jennet, che mi rappresenta anche se ha qualche anno in più, è in vacanza si ritrova catapultata in questo mondo popolato da creature gigantesche e minuscole, ma esseri umani a tutti gli effetti, fisicamente e spiritualmente, tutti con i loro problemi e i loro stati d’animo, sia quelli buoni che quelli cattivi. Ci sono due società in contrapposizione da una parte quella dei giganti e dall’altra quella degli umani che vivono molto più a contatto con la natura. È stato come un’anticipazione di quello che ho fatto e delle persone che ho incontrato nella mia vita. Amo questa storia, è il mio primo libro e sarà sempre come il primo amore, non puoi dimenticarlo, puoi fare esperienze diverse e più mature, esattamente come con le persone. Nello stesso modo in cui crescendo impari a gestire le relazioni con maggiore consapevolezza, nella scrittura fai delle cose più avanzate, però il primo, quello un po’ goffo, un po’ ripetuto e un po’ a naso, non lo dimentichi mai.
L’antagonista è terrificante, ci sono delle parti un po’crude e infatti mi sono sentita rivolgere delle critiche, mi sono sentita dire che è un libro violento, ma non lo è. Il cattivo è malvagio e fa del male a chiunque, è sconvolgente ma la cattiveria è così. Il libro riflette delle paure che ho dovuto affrontare durante l’infanzia e la prima adolescenza, paure e problemi che ho riversato nell’arte come una sorta di esorcismo, ho dato un volto e un nome alla paura. È stato pubblicato nel 2009, dopo tre anni dal completamento. È ancora una scrittura immatura, di una persona giovane, ma i contenuti compensano in un certo modo. -È un percorso psicologico di crescita?- Sì. Sia per me, sia per il personaggio. È stata un’anticipazione della mia vita, perché effettivamente la scrittura e la capacità di avere una visione simbolica, ti permette di vedere oltre; è una sorta di divinazione. Come quando fai un sogno che si realizza o quando accade qualcosa che inconsciamente sentivi sarebbe avvenuta, pur non avendone la certezza. Nel mio modo di vedere la quotidianità queste cose esistono ed è bello vedere che ci sono, è una magia, è avere una coscienza che tutte le cose sono sottilmente collegate, che le persone sono sottilmente unite. Il passato è una traccia, il futuro è il percorso, come una montagna in cui ci si giostra per stabilire su che sentiero andare, perché la cartina da seguire nessuno ce la fornisce. Spesso finiamo fuori dal sentiero in mezzo ai rovi e alle erbacce, ci strappiamo la camicia. L’arte secondo me, aiuta a scorgere al di là delle erbacce che impediscono la vista agli occhi del corpo, perché gli occhi dell’arte vanno un po’ più oltre”.
‘Cronache di un mondo a parte’ è ancora posato sul tavolino che mi divide da questa esile ragazza dai capelli rossi, che è un vulcano di passione per la sua arte. Durante la nostra conversazione, a tratti concitata e spesso divertita, ‘Cronache’ mi ha osservato per tutto il tempo, dapprima sussurrando, poi gesticolando sommessamente e infine, esasperato, urlando il mio nome per darmi un segno. Non riuscivo in nessun modo a ignorarlo, a fingere che non stesse cercando di attirare la mia attenzione, che non fosse giunto il momento di leggerlo. Mi è praticamente saltato nella borsa ed è tornato a casa con me. Con il permesso di Valentina ovviamente, cosa avevate capito?