L’arte in divenire, una dedizione assoluta alla sperimentazione, all’interazione con la materia per lasciarsi sempre sorprendere dal risultato del suo lavoro. Questo è William Ronchi, un artista (anche se non ama definirsi tale) generoso, eclettico e anticonvenzionale, appassionato d’arte a delle tradizioni del territorio che si adopera costantemente nel proporre iniziative che esaltino e riportino alla luce il fitto sottobosco degli artisti di Bovisio Masciago. Una tra tutte respira e risplende ogni giorno sotto il nostro sguardo: la Mergasciad’Art.
William vive in città da generazioni, parla di sé come di un modellatore, ama mettersi alla prova adoperando materiali e tecniche sempre diverse dall’Acquaforte alla pittura tridimensionale, passando per il gesso, le colorazioni ottenute da materiali insoliti, fino al Raku. Senza mai dimenticare la beneficenza.
Durante le prove dello spettacolo della compagnia “… ed espressioni simili”, Bovisiomasciagonews l’ha rapito, solo per qualche minuto (o forse più), per un’intervista sul suo lavoro artistico e sulle iniziative che promuove a Bovisio Masciago.
Siamo nel foyer del teatro “La Campanella”, allietati dalle note del musical “Tasche vuote cuore in festa” e divertiti dalle performance degli attori in sottofondo. Per cominciare e sciogliere l’imbarazzo che si prova al pensiero di dover parlare di sé gli chiedo qualche informazione personale, quelle segnate sulla carta d’identità, per intenderci. Sorride e parte come un treno.
“Sono nato il 3/2/1966, a Milano, ho 47 anni e vivo a Bovisio da sempre. Sono sposato con Paola Oltolini e ho due figlie Greta che è del ’97 e Marta del 2000. Sono Odontotecnico, mi raccomando non Odontoiatra o Medico dentista. Faccio le dentiere – specifica - infatti la mia pittura è molto materica, proprio perché il mio lavoro è quello di modellare. Io infatti amo molto anche la scultura e adopero tantissimo il materiale che si utilizza per il mio lavoro, uso i gessi, le terre d’affresco e faccio ceramica Raku".
Quando è iniziato il tuo interesse per la pittura e per l’arte in generale?
“Si può dire da sempre. Uno zio, che purtroppo non c’è più, mi ha regalato il primo cavalletto per dipingere che avevo quattro o cinque anni e non ho più smesso. Non ho una scuola, non ho mai studiato, se tu mi chiedi di fare un ritratto non so se ne sono in grado. Il mio modo di creare si basa molto sulla sperimentazione e il mio lavoro è molto informale, non figurativo, anche se ha sempre un senso e nulla è fatto a caso”.
Sono non figurativi, quindi sono immagini interne, visioni, rappresentazioni di quello che è il tuo modo di vedere una cosa?
“Sì, oppure magari sono metà e metà. L’uso della materia può essere funzionale alla rappresentazione di un paesaggio. Ho fatto un quadro che è un paesaggio sul Lambro partendo da una lastra di gesso spaccata in due: la spaccatura rappresenta il fiume e intorno ci sono tutte le case. L’importante per me è che sia sempre presente lo spessore”.
Parlami dei soggetti dei tuoi lavori.
“Per i soggetti spazio moltissimo, per esempio adesso sto realizzando una serie di opere sulle frasi bibliche, ad esempio l’uomo che fonda la casa sulla roccia, piuttosto che l’apocalisse. Ho provato a fare dei paesaggi, ovviamente informali, ho dipinto dei paesaggi marini, dei porti con le barche, però preferisco lavorare seguendo l’ispirazione, quindi tutto dipende dal momento. Su richiesta per esempio, quando abbiamo dipinto i quadri per il progetto di solidarietà per il Congo, ho fatto delle ballerine, anche se non è un modo di dipingere che mi appartiene completamente”.
Quali supporti e quali materiali utilizzi?
“Il mio supporto principale è la juta, il telo di juta dei sacchi, anche perché mi si aggrappa bene il materiale che utilizzo, inoltre io non amo le cornici assolutamente, quindi ho risolto questa cosa lasciando la juta a fare da cornice al mio quadro. Per dipingere uso molto gli acrilici, le terre che si usano per gli affreschi, ma anche il caffè o il catrame oppure colori e coloranti delle polveri che usano i lucidatori per dare le tinte al legno. C’è una sperimentazione assoluta perché attraverso questi materiali puoi ottenere delle colorazioni che con il tubetto non riesci a trovare. Io il tubetto di colore non lo uso quasi mai, se lo uso lo mischio ad altre cose”.
Mi dicevi che non hai mai fatto una scuola, sei completamente autodidatta?
"Ho frequentato solo una scuola di ceramica con il maestro Enzo Cremone però tutto quello che ho fatto prima, il lavoro di modellazione, deriva dal mio impiego, modellare i denti. La lettura della tridimensionalità per esempio mi viene più facile del disegno o della pittura, proprio perché è una questione di abitudine. Riprodurre un dente non è semplice, se sai fare quello sai leggere anche le forme di un’altra parte del corpo. Con lui ho seguito anche dei corsi di Acquaforte, la tecnica seriale di stampa su lastra di zinco. È una tecnica lunga e non semplice che a volte richiede una dedizione e una cura maniacale, spesso se non si conosce questo tipo di lavoro è difficile vedendo il disegno capire la complessità o il numero di passaggi che sono stati utilizzati per arrivare al risultato”.
Hai parlato del Raku, cos’è?
“Si tratta di una ceramica particolare di origine giapponese, in principio legata alla cerimonia del tè ora orientata più verso l’arte che verso l’uso comune. Bisogna cuocere il pezzo in forno a più di 900° e la cottura degli smalti applicati viene poi ridotta con materiale combustibile, ad esempio foglie, carta, segatura, trucioli di legno. Si estrae l’oggetto incandescente con delle pinze apposite e lo si appoggia sul materiale comburente che si incendia. È una tecnica molto scenografica, questa è la particolarità del Raku. La sua anima risiede nella gioia di sperimentare e nell’istinto. Tutti gli elementi che ti circondano influiscono sulla sua colorazione: la variabilità delle fiammature, la durata dell’esposizione all’aria, se passa una folata di vento, la temperatura, il tempo e l’intensità della riduzione dell’ossigeno che influisce sulle iridescenze e anche il tempo impiegato per estrarre il pezzo dal forno. Pochi secondi sono sufficienti a produrre un impronta di colorazione differente, perché si tratta di ossidi metallici che reagiscono e cambiano in milioni di modi. Con l’esperienza è possibile guidarla, Enzo il mio maestro può farlo, ma tutti i lavori sono assolutamente unici”.
Da qui appare evidente la tua passione per la sperimentazione dei materiali e anche per il processo di realizzazione.
“Una delle cose che mi affascina del Raku per esempio, è che tu il colore non lo vedi fino alla fine. All’inizio vedi solo delle fanghiglie sulle tonalità dei grigi, acqua e polvere mischiate, magari qualcuna tende vagamente al rossiccio, ma è tutto in divenire, una scoperta e una sorpresa. Si possono fare un sacco di cose guidando le fiammate. È bellissimo e affascinante. Lo fanno in pochi però perché è scomodo: produce tanto fumo e odore, necessita di spazi aperti. Io nel mio fornetto di casa faccio delle cose piccoline, però ho un’apposita cappa aspirante come quella dei laboratori – della Nasa?- No, di odontotecnica, che aspira il fumo come aspira le sostanze chimiche. Quando lo fai puzzi di fumo per tre giorni e hai gli occhi tutti arrossati e rischi l’intossicazione -si diverte anche solo a parlarne- deve piacerti ma ti assicuro che quando incominci ti appassiona per il suo essere coinvolgente, perché puoi interagire e il pezzo si evolve dall’inizio alla fine, lo vedi cambiare sotto i tuoi occhi”.
Hai provato a vendere quello che fai, quadri o sculture?
“No io li regalo! La soddisfazione maggiore per me è l’apprezzamento da parte degli amici, il mio interesse è di divertirmi, di creare. Preferisco partecipare ai concorsi, non con l’ambizione di vincerli ma con l’intento di conoscere l’ambiente, nuovi amici, incontrare sempre più pittori”.
“E poi c’è Mergasciad’Art –non vedeva l’ora di parlarne, fremeva e allora lo lascio libero- che nasce per caso da me grazie a un’ idea della signora Sartori. Allora era presidentessa del gruppo Amici della Mergasciada, di cui ora è presidente Mario Cattaneo. Lei, che è l’anima viva del gruppo, aveva intenzione di organizzare nel mese di aprile una festa per ravvivare la città e per colorare i muri depressi di Bovisio Masciago. La festa (che si ripete ogni anno da allora) si sarebbe chiamata Gioia e Colore e mi ha proposto di invitare degli amici a esporre. Io ho pensato che le esposizioni d’arte sono molto particolari, uno come me che è amante della pittura può stare anche tutto il giorno a guardare i quadri e a parlare con il pittore, ma uno che non è propriamente interessato magari non si ferma nemmeno. Invece se sei lì a dipingere in strada, se stai facendo un quadro dal vivo, puoi suscitare maggiore interesse e anche chi non ama particolarmente la cosa si incuriosisce e si prende cinque minuti, giusto per vedere cosa stai facendo.
I primi due pannelli, uno mio e uno di Enzo (in queste iniziative siamo molto in simbiosi) nascono così, con lo scopo di lasciarli poi appesi al muro. Il terzo è arrivato in dono da un’altra mia amica pittrice Elsa Grutta d’Auria. -Poi c'è quello di Enrico Fossati-. L’anno dopo anziché far dipingere una tela ai pittori che partecipavano a Gioia e Colore, gli abbiamo fatto dipingere un pannello, in questo modo sono arrivati altri 12 o 13 quadri. Quest’anno ne sono giunti altri quattro nuovi dalla scuola d’arte di Varedo perché ho coinvolto Roberto Brunello, il direttore della scuola. La cosa sta crescendo man mano”.
Mergasciad’art quindi è iniziata proprio per la voglia di riqualificare i muri della zona?
“Sì, Gioia e Colore a Bovisio Masciago è legato al fatto di dare la possibilità a tutti, ma ai bambini soprattutto, di vedere una città diversa, di educarli un po’ all’arte, al colore e non solo. Tutti gli anni se il tempo è clemente, durante la manifestazione diamo dei semi di zucca ai bimbi, loro li piantano e la quarta domenica di settembre, quando c’è la festa di Bovisio e le zucche hanno ormai raggiunto la loro massima fioritura e noi organizziamo una premiazione. C’è il premio per la zucca più bella, per quella più grossa, per la più colorata, per la più strana, insomma premiamo un po’ tutti perché lo scopo in realtà è educare i bambini alla coltivazione. Il premio di solito è una mia targa in Raku perché siamo un tantino monotoni – ride - ma insomma questo è quello che c’è!”
“Le iniziative degli Amici della Mergasciada sono tutte rivolte al territorio e alle tradizioni. Luisella Sartori è molto legata alle tradizioni, anche al dialetto, infatti nella nostra sede in via Marconi c’è sempre una scuola di dialetto Milanese. Una sera alla settimana c’è scuola e gioco di Burraco e anche quella di cucito tenuta da una bravissima sarta, la signora Agnese Regonini. È molto bello perché implica un tentativo di far rinascere una tradizione, un mestiere, quello della sartoria che un po’ si sta perdendo”.
Quali altre cose e iniziative hai fatto in passato e quali in futuro?
“Grazie a Franco Pogliani, che è un mio amico, ho avuto la possibilità di fare le agende e i calendari della Una Trading Toro Assicurazioni. Lui e il fratello Elio sono sempre molto attivi a livello artistico a Bovisio. Io, Pogliani e Danilo Castellini abbiamo promosso tempo fa un’iniziativa per l’asilo Marangoni, in occasione dell’inaugurazione della nuova palestra. Abbiamo organizzato una mostra di pittura e raccolto fondi per un totale di 17 mila euro, 15 mila togliendo tutte le spese e con questi soldi abbiamo ricomprato tutti i mobiletti per l’asilo, i computer.
A Bovisio ci sono tanti artisti e tanta gente innamorata dell’arte però è come se fosse un sottobosco che andrebbe portato alla luce.
Un’altra bellissima iniziativa, promossa da Luzzini nel 2000, ha coinvolto vari artisti di Bovisio. Sono stati realizzati una ventina di quadri rappresentanti personaggi e avvenimenti storici della città. Io ad esempio avevo dipinto un quadro legato agli aerei della Isotta”.
-Durante gli anni della prima guerra mondiale, i fratelli Zari si videro costretti a trasformare radicalmente il loro stabilimento, dedicato alla lavorazione del legno, per dar posto ai reparti dell'industria aviatoria.
A causa delle necessità belliche fu necessario potenziare le strutture dedicate alle riparazioni dei velivoli e Bovisio che era lontana dal fronte e ben collegata alle ferrovie divenne una sede ideale. A Mombello si costruì una pista di volo lunga 500 metri completa di una ventina di hangar, di un capannone per la manutenzione e una palazzina di comando.
“Qui si rivestivano i serbatoi di sughero perché non perdessero benzina in caso fossero colpiti, il sughero è adatto perché molto elastico” - e in più c’era il Sugherificio Marangoni & C., uno dei più grandi sugherifici d’Europa, fondato intorno al 1882.
“Io ho fatto questo quadro e poi uno dedicato a Franco Giorgetti, un famoso ciclista di Bovisio Masciago, un Pistard cioè un corridore su pista, che ha avuto molto successo in America, e che ha vinto parecchi campionati del mondo. C’è anche una scultura davanti al Campo sportivo di via Europa dedicata a lui, una scultura fenomenale, bellissima. All’inaugurazione di quella mostra c’era anche la figlia ed è stata proprio al passaggio del nuovo millennio, una delle prime cose pubbliche cui ho partecipato.
Un’altra cosa, durante Gioia e Colore quest’anno, è stata quella di dirottare gli artisti che avevano già dipinto un pannello per la Mergasciad’Art su un’altra iniziativa, quella della Solidarietà per il Congo. Abbiamo chiesto loro di dipingere su tela il tema della danza e i quadri sono stati venduti in occasione della serata al teatro La Campanella durante il saggio finale dell’Accademia Artedanza. Abbiamo ottenuto un successo pieno, tutti i venti dipinti sono stati venduti. Il costo era ovviamente simbolico, perché lo scopo non era dare un valore all’opera ma raccogliere fondi per fare beneficenza.
A settembre una cosa che farò, sempre durante la festa di Bovisio, è una dimostrazione di ceramica con il mio maestro Enzo”.
E prima di tutto questo?
“Prima era un hobby mio, mi ci divertivo, poi ho iniziato a fare i concorsi perché mi son reso conto che a un concorso alla fine c’è di tutto, dal professionista all’esordiente e mi sembrava di poterci rientrare. È divertente mi piace l’ambiente”.
È stata una decisione tua o ti hanno spinto?
“No! Mi hanno spinto le mie ragazze decisamente, perché a me - si imbarazza molto - non sarebbe venuto in mente, a me non piace la parola “artista”, è importante e da usare con il contagocce. Io grazie al signor Pogliani ho potuto fare i calendari e ho anche pubblicato delle opere su dei libretti di poesie. È una bellissima collana che hanno creato insieme a Granaroli, un pittore di Brescia amante della poesia. Io sono nel libretto 195 con sette opere abbinate a sette poesie di un altro artista. Per me è stata una cosa fenomenale e io ringrazio il Pogliani per tutte queste occasioni bellissime che magari altri artisti veri non riescono ad avere , persone che lavorano in strada da vent’anni e magari faticano a vendere delle Acqueforti stupende a 20 euro o dei quadri meravigliosi a 50 euro. È un peccato mortale eppure è così. Dall’altra parte, con il potere dei soldi, ci sono artisti che espongono anche a Venezia pur meritandolo di meno”.
Questa passione per la pittura, la scultura e l’arte la stai dedicando spesso alla beneficenza…
“Non vale solo per me, anche i ragazzi della scuola di Caronno, quelli del saggio di Danza, quelli dell’iniziativa al Marangoni, sono tutti artisti che hanno regalato i propri quadri, una beneficenza vera. Tutto quello che noi abbiamo fatto è stato dargli il supporto della tela ma tutto il resto l’hanno portato loro, strumenti, colori e vogliamo parlare dell’impegno, del tempo? Tutti loro hanno ricevuto una grande soddisfazione nel vedere che il loro dipinto è stato apprezzato e voluto da qualcuno”.
E per chi non lo sarebbe!
“Tutto quello che faccio, lo faccio perché mi piace, e per la soddisfazione di scoprire che esiste qualcuno che vuole avere un mio quadro in casa. Se poi questo può fare del bene è ancora meglio. Come per il discorso del teatro -parla dello spettacolo della compagnia dell’oratorio- sono ragazzi che meritano, che si impegnano. Ho fatto per loro una scenografia bella grande per aiutarli, perché per me il compenso più grande è vederli tutti contenti”.
William vive la gioia della creazione artistica nella sorpresa della sperimentazione, attraverso la materia che prende vita modellata dalle sue mani. Ama la sua città e la sua famiglia, è facile intuirlo dall’entusiasmo con cui ne parla, con cui racconta del suo lavoro artistico. Traspare e vive questo amore in ogni sua parola, perché l’arte è vita, trasformazione, crescita e dedizione. Perché per lui “il compenso più grande è vederli tutti contenti”.