Facciamo seguito ad alcune richieste pervenute, in special modo ad alcuni chiarimenti sulla tanto discussa Legge Bossi-Fini (legge nr 189 del 30 luglio 2002) approvata con il secondo governo Berlusconi e che va a disciplinare tutte le politiche di immigrazione e di integrazione degli stranieri nel mondo del lavoro.
La legge in questione, che prende il nome dai suoi firmatari Gianfranco Fini, allora leader di Alleanza Nazionale e Umberto Bossi della Lega Nord, è entrata in vigore il 9 settembre del 2002 e, oltre ad aver avviato politiche restrittive in termini di immigrazione, determina tutte le procedure per regolarizzare colf, badanti e lavoratori non in regola con i permessi di soggiorno.
Questa legge ha modificato le norme già esistenti in materia di immigrazione e asilo politico, la cosiddetta Legge Turco-Napolitano (legge nr. 40 del 6 marzo 1998) che si andava ad integrare al Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, nr 286).
Che cosa prevede la Legge Bossi-Fini?
Sintetizzando al meglio, le nuove disposizioni introdotte in termini di immigrazione sono state:
- l'inserimento di pene più severe per coloro che procurano l’ingresso di uno straniero “non regolare” nel territorio italiano (i trafficanti di uomini);
- una sanatoria per colf, badanti, malati e portatori di handicap;
- l’utilizzo delle navi della Marina Militare al fine di contrastare il traffico di uomini;
- nuove disposizioni sia per il rilascio di permessi di soggiorno e sia per il diritto di asilo.
Chi può entrare in Italia?
Sia l’ingresso che la permanenza degli immigrati nel territorio italiano sono subordinati all’esercizio di un’attività lavorativa, che dovrà essere sempre certificata da un regolare contratto di lavoro, assieme al permesso di soggiorno. Quest’ultimo verrà concesso solo in presenza di un contratto di lavoro regolare e avrà durata di due anni se il rapporto è a tempo indeterminato e fino ad un anno per gli altri casi.
In più, il diniego del visto di ingresso non deve essere più motivato, salvo alcune eccezioni.
Differenza tra immigrati irregolari e clandestini.
La legge distingue le due tipologie di immigrazione: gli irregolari sono tutti quegli immigrati privi di permesso di soggiorno ma con un documento di identità. I clandestini sono coloro che non hanno né un permesso di soggiorno e né un documento di identità valido.
La legge prevede che gli irregolari vengano immediatamente espulsi dal Prefetto della Provincia che li ha rintracciati, con tanto di accompagnamento alla frontiera da parte della forze dell'ordine, mentre i clandestini dovranno essere trasferiti nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) per una permanenza di sessanta giorni (la Legge Turco-Napolitano ne prevedeva trenta) durante i quali si svolgeranno tutte le pratiche o eventuali indagini per l’identificazione dei soggetti. In caso di mancata identificazione, all’immigrato verrà ordinato di lasciare l’Italia entro tre giorni (a fronte dei quindici previsti nella precedente legislazione).
Per tutti coloro che fanno richiesta di permesso di soggiorno o rinnovo dello stesso, la Bossi-Fini prevede il rilevamento e la registrazione delle impronte digitali.
I respingimenti in mare.
E adesso veniamo all’argomento caldo della legge in questione e cioè i respingimenti al paese di origine in acque extraterritoriali. In base agli accordi bilaterali fra l'Italia e gli altri paesi, le rispettive polizie si impegnano a cooperare per prevenire il traffico di uomini irregolari o clandestini, affinché i barconi non attracchino sul suolo italiano e che la procedura di identificazione dei soggetti aventi diritto all’asilo politico così come l’assistenza medica e sanitaria avvengano direttamente in mare. E’ per questo motivo che spesso i migranti, per paura di doversi vedere respinti, si buttano in mare tentando di arrivare a riva a nuoto.
In ambito europeo, il respingimento in mare, viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che garantisce il diritto di asilo secondo quanto stabilito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra che recita «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.» Respingendo le imbarcazioni senza un'attenta verifica sulle identitià dei migranti, si rischia di rimandare rifugiati politici presso i paesi in cui sono perseguitati.