Restiamo umani. L’ANPI per le vittime di Lampedusa

In piazza Biraghi un raduno per ricordare le vittime dei naufragi.

Gianfranco Lagonigro
14/10/2013
Attualità
Condividi su:

Nella giornata di domenica 6 ottobre, l’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia si è riunita assieme ad una cinquantina di cittadini in piazza Biraghi, per commemorare e rendere omaggio alle vittime della strage di Lampedusa, vittime non soltanto del Mediterraneo, che negli ultimi anni ha registrato migliaia di annegati, ma soprattutto vittime dell’indifferenza collettiva di un Paese, una volta conosciuto per il suo grande senso umanitario tramandato e salvaguardato dalla stessa carta costituzionale e che negli ultimi anni si è lasciato corrompere da false promesse risolutive a problemi che difficilmente possono essere risolti da una legge “restrittiva”.
Restiamo umani. Restare umani vuol dire privilegiare la vita a prescindere, sempre. Non esistono sconti o “pagamenti ratealizzati” in base alle necessità o in funzione di un determinato contesto geopolitico.
Restiamo umani.
Questo il messaggio dell’ANPI di Bovisio Masciago a tutta la cittadinanza, in un momento di grave incapacità politica e sociale nel fronteggiare tragedie come quella di Lampedusa.
E come se non bastasse, a pochi giorni dalla morte di oltre 300 persone, il bilancio dei corpi rinvenuti in mare continua ad aumentare a causa di un altro barcone rovesciatosi nei pressi di Malta.
Domenica scorsa, i partecipanti alla commemorazione si sono presentati con un fiore e per l’occasione sono state lette le testimonianze dei soccorritori a Lampedusa e una lettera di don Ciotti pubblicata il 4 ottobre da Libera, l’associazione da lui fondata a sostegno della lotta alla mafia in Italia e nel mondo, che pubblichiamo qui di seguito.

“Ciao,
oggi è il giorno della corresponsabilità. Una corresponsabilità che è innanzitutto serio ascolto delle coscienza, riconoscimento delle nostre omissioni e delle nostre stanche parole. Corresponsabilità che è impegno quotidiano, personale messa in gioco: non indignazione saltuaria, non dolore a tragedia avvenuta.
Le morti di Lampedusa non possono essere considerate una fatalità, come non possono essere quelle delle oltre 19000 persone che, dal 1988 ad oggi, dopo aver patito fame, guerre e violenza, hanno cercato di raggiungere un’Europa sognata come terra promessa e scoperta come fortezza, spazio chiuso e ostile.
Cosa chiedevano in fondo quelle persone? Di essere viste. E di vedere nello sguardo dell’altro il riflesso della propria dignità.
A ucciderle sono state allora leggi costruite per renderci ciechi e insensibili –
i tre pescherecci che non si sono fermati per paura di essere accusati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, ndr – Leggi che parlano di “flussi” invece che di persone, che alimentano paure invece di costruire speranze. Leggi che hanno favorito indirettamente i traffici, le forme di sfruttamento e di violenza. Leggi, infine, a cui non basta più rimediare con la solidarietà, col cuore generoso di chi accoglie nella quotidianità o si prodiga nei soccorsi quando avvengono tragedie come quella di Lampedusa.
Oggi, come altre volte, apriamo gli aocchia quanto è ormai troppo tardi, ci accorgiamo che queste persone esistono solo quando vengono deposte, avvolte in teli di plastica, sulle spiagge di un mare un tempo si chiamava “mare nostrum”, il mare nostro.
Ecco allora che corresponsabilità significa allargare quel “nostro” affinché diventi davvero di tutti. Fare in modo che in ogni ambito della vita, a partire da quello cruciale della politica, ci s’impegni per assicurare a ogni essere umano la dignità e la libertà che gli spetta in quanto essere umano.
Quel naufragio è figlio del naufragio delle coscienza, e solo una coscienza risvegliata, corresponsabile, restituirà a quelle persone la dignità che gli è stata tragicamente negata.

Roma, 04/10/2012

don Luigi Ciotti"

Leggi altre notizie su BovisioMasciagoNews.net
Condividi su: