L’Arte a Bovisio Masciago: Enrico Fossati e la sua finestra sull’anima del mondo.

Da tutti conosciuto come Fofe, l’artista di Bovisio Masciago si confida in un’ intervista: “Disegno anche di notte”.

Alessia Piperi
18/06/2013
Arte
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Fofe, all’anagrafe Enrico Fossati, nato a Milano nel 1976, è un artista di Bovisio Masciago. È in questa piccola città che risiede e crea le sue opere. I suoi disegni sono il risultato di una continua ricerca, di passione, sperimentazione e infinita pazienza. I quadri sono il simbolo della vita stessa. Il suo sguardo è una finestra sull’anima del mondo, un traduttore simultaneo che cattura le immagini e le interpreta in maniera del tutto nuova, quasi onirica, per trasformarle, attraverso un sapiente uso della tecnica, nella proiezione di una luce interiore.
Attraversando il cortile, dove il rumore delle auto fuori giunge appena, si ha l’impressione di essere in una piccola oasi. Una gatta di nome Ili ci osserva curiosa, uno sguardo appena percettibile, diffidente e fugace, poi sfila davanti a noi per trovare un po’ di coccole tra i vasi di fiori. Entriamo. L’aria è fresca nella casa che Fofe condivide con la sua compagna Ania. I raggi del sole, riservati e quasi composti, illuminano intensamente l’interno dell’abitazione con una brillantezza delicata che accarezza lo sguardo. Il bianco è la culla delle opere esposte sulle pareti, un enorme abbraccio di colore e linee. 
Fofe, quando hai iniziato a dipingere?
“Le prime opere degne di essere viste risalgono all’infanzia. – sorride, il sorriso non si fa mai attendere sul suo volto- C’è un aneddoto risalente all’asilo: ci era stato chiesto di costruire una capanna per il presepe come lavoretto di Natale e mentre tutti gli altri bambini avevano costruito una capanna tonda, io ne avevo costruita una con tanto di tetto, muri e tralicci di sostegno. La suora ne era rimasta estasiata.
Ho continuato poi nel gioco: invece di usare soldatini normali, io me li disegnavo e disegnavo anche le battaglie. Andando avanti con gli anni, anche tutti i libri delle elementari e delle medie erano completamente disegnati e su ogni pagina potevi trovare figure di giocatori e partite di pallone.
E’ stato però in prima media che ho imparato davvero a dipingere. Alla scuola media dei Fratelli Maristi c’era un professore, Frate Claudio, che era un pittore appassionato e praticamente un tuttologo; con lui ho imparato la tecnica dei colori ad olio e il disegno con la “Bic”, una sua particolarità che mi porto dietro ancora oggi. Il disegno a “Bic” lo trovi in alcuni dei miei lavori. Dalla prima media risalgono i primi ritratti di parenti, di mio nonno, in cui i volti sono davvero riconoscibili. È stato grazie a Frate Claudio che ho davvero iniziato ad appassionarmi al disegno. Mi ha sempre spronato a dedicarmi alla pittura e, più o meno ogni due settimane, ci portava a visitare tutte le chiese e i musei di Milano. Questo mi ha aiutato molto e ancora oggi, all’età di trentasei anni, continuo a disegnare, pensare e vivere come quando ero in prima media, con lo stesso entusiasmo”.

Come si è evoluto il tuo modo di dipingere, quali fasi o tappe hai attraversato?
“Diciamo che iniziato da una tecnica difficile (i colori ad olio), per trovarmi al liceo artistico (il Papa Ratti di Desio) a ritornare un po’ indietro e studiare altre tecniche che mi risultavano più facili, come la tempera o l’acquarello. “Purtroppo” avevo già un mio stile, una tecnica particolare che in ambito accademico poteva andare bene per alcuni professori, come invece andare male per altri. E quando andava male erano litigate! Ero all’indirizzo di architettura, ma ho fatto solo due anni, poi ho cambiato e ho completato con tre anni di grafica, per poter trovare uno sbocco lavorativo.
Ho incominciato quindi con l’olio e poi, una volta appresa la tecnica, sono state la sperimentazione e l’esperienza a fare il tutto. L’arte per me è essenzialmente esperienza, è una vita di sperimentazione, evoluzione, il cui segreto è non essere mai fermi. Avere sempre qualcosa da fare, non avere mai tempi morti, anche quando sono in viaggio sul treno, penso all’opera che sto eseguendo o che vorrei eseguire.
Poi ho scoperto che la pazienza gioca un ruolo fondamentale. Ci possono volere anche tre mesi per finire un solo quadro e in questo tempo pensi a tutto quello che potresti fare, tanto che a volte ho immaginato quanto sarebbe bello diventare una stampante! Quando fremi per andare avanti senti salire la rabbia che ribolle e allora entra in gioco la pazienza che consiste proprio nel riuscire a controllare la rabbia e la frenesia. Così vai avanti e mentre lo fai ti innamori di ogni tua opera, che diventa sempre la migliore, la più bella in assoluto per te, tanto che poi diventa difficile staccarsene.
Ho provato sulla mia pelle quanto sia difficile mettere la firma, a volte firmo un quadro dopo tre o quattro mesi che è concluso, quando sono già passato ad altro, perché anche se l’opera è finita, in realtà per me è come se non lo fosse. Dici va bene, stop, ma è dura perché lì dentro c’è tutto quello che ti porti dietro, ci sei tu. Molti dei miei disegni si sono evoluti nel loro divenire, sebbene amalgamati, sono partiti in un modo e si sono conclusi in un altro, perché nel contempo si cresce ed io non sono mai fermo.
Poi sono arrivato a comprendere che l’arte è pensare, o meglio elaborare. A livello di ispirazioni quello che vedo lo penso, lo elaboro e lo metto sulla tela, che poi siano emozioni di colore oppure linee non importa, è un’esigenza personale di esprimere l’immagine che ho dentro. Ho sempre paura che quello che sto facendo possa essere uguale al quadro precedente e allora scatta la sperimentazione e il tentativo di uscire, un poco alla volta, da quello che ho fatto nel lavoro precedente.
Ancora un esempio è il mio preferito –
indica una grande tela in bianco e nero- è anche molto personale, racchiude numerose scene e sogni, c’è anche quando ero al mare con mia mamma, in Liguria a Chiavari, è fatto con una penna che è tipo china, quella che usano gli architetti, come la definisco io. Il mezzo utilizzato è parte di una delle mie ricerche, cioè trovare nuovi strumenti per fare il nero più nero”.

Per quanto riguarda la tecnica, osservando i tuoi lavori si possono distinguere evoluzioni precise che diversificano i tuoi quadri nello stile. Troviamo la “sgocciolatura” del colore sulla tela, la sostituzione del segno nero, netto e preciso, con una graffiatura del colore. C’è anche la spremitura del colore direttamente dal tubetto sul supporto, e successivamente steso con una spatola.
Indico un quadro “All…”, il mio preferito, e gli chiedo di parlarmene.

“Questo è molto vecchio, hai beccato il primo quadro in assoluto dove sono uscito dalla mia tecnica iniziale per entrare nel mio nuovo mondo, risale al 1996. In casa è appeso apposta vicino ad altri  molto diversi, più realistici, dipinti tra il ‘94 e il ’97-‘98, mentre li completavo ho realizzato anche quello e ho visto un altro sbocco. In uno, se noti – mi indica la rappresentazione di una piazza in cui, in uno dei cartelloni, c’è il particolare in miniatura del dipinto di cui stiamo parlando – Mi sono detto perché invece di fare le case come sono non le faccio come le vedo e le sento io?” – parli di interiorizzare l’immagine? – “Sì, trasformare l’immagine secondo il pensiero. Ci tengo molto, era in casa di mia nonna perché non lo volevo vendere ed era lì che nascondevo i quadri a cui tenevo di più, anche se adesso penso che se fosse stata lei la mia agente ora sarei a posto”.
A quali mostre o iniziative hai partecipato in passato e quali sono in programma?
“Ho fatto molte rassegne in passato, quest’anno un po’ di meno perché è venuta a mancare mia mamma. Per esempio sono stato scelto per la biennale a Palermo, dove ho esposto. Poi ho partecipato ad una manifestazione a Parma “Artisti in Mostra”, dove sono stato selezionato e ho vinto un premio. In quella occasione la “Galleria Mentana” di Firenze mi ha notato e tuttora ho cinque opere esposte lì. Sempre con la galleria di Firenze dovrei esporre a Cannes a fine settembre.
Attualmente sto partecipando ad altre selezioni a Berlino, Londra e Verona, e a Cesano Maderno, tramite l’Associazione Borromeo, avrebbe dovuto esserci una rassegna domenica 9 giugno, ma per colpa del mal tempo l’hanno rimandata a settembre”.

Passando da via Marconi, tempo indietro, ho alzato gli occhi e ho visto un quadro che istintivamente ho associato a te e mi ha incuriosito. L’opera, ho poi scoperto essere effettivamente tua ed è esposta nell’ambito di “Mergasciad’ Art”, parlami di questa iniziativa.
“È un’iniziativa molto bella. William Ronchi insieme a Cattaneo, all’Antichità Sartori e al Comitato “Amici della Mergasciada*”, allo scopo di riqualificare la zona e soprattutto i muri più in rovina della via, hanno iniziato ad appendere quadri. Sono pannelli in legno marino, supporti adatti a resistere alle intemperie. Hanno cominciato con tre o quattro artisti e poi ne hanno coinvolti sempre di più, tra cui ad esempio anche pittori di una scuola di Caronno Pertusella. È un’esposizione a cielo aperto che ha colpito molto. In quel mio dipinto ha giocato molto la pazienza e la cura estrema al minimo particolare”.
*Gli “Amici della Mergasciada” tra cui il presidente Antonio Cattaneo, Luisella Ferrari e William Ronchi hanno appeso i primi due pannelli nel 2010, quando hanno portato a Bovisio alcuni acquarellisti per vendere le opere e donare il ricavato in beneficenza. Quindi hanno deciso di non chiudere le opere donate in una stanza ma di esporle a beneficio di tutti, una sorta di “mostra sul bello dell’arte nel degrado, ovvero a partire dalle pareti delle abitazioni che avevano maggior bisogno di restauro”. Le opere si sono moltiplicate e oltre ai pittori si è aggiunto il contributo di un fotografo, Fabrizio Delmati, anche lui di Bovisio, con due scatti che sembrano realizzati con il pennello.
Si può vivere di arte oggi? Cosa fai per vivere?
“Sono 12 anni che lavoro nell’ambito della grafica ed è sempre andata bene; ultimamente mi sono evoluto seguendo le richieste del mercato e sono diventato web designer, che è un mercato sempre attivo. Attualmente lavoro molto su commissione (tre o quattro opere all’anno) che è un bene perché mentre faccio qualcosa che amo, so che ci posso guadagnare un pochino, ma ci sto anche investendo.
Non c’è un mecenate che arriva e ti dice “OK penso a tutto io”. L’artista che ha a disposizione dei soldi deve avere la fortuna di trovare una galleria che ti scelga e ti porti avanti, perché, sarà anche la crisi, ma nessuno fa niente per niente. Non sarebbe giusto perché in teoria se io ho un prodotto, dovrei riuscire a venderlo e non dovrei pagare qualcuno che me lo venda. Il fatto è che l’arte è diventata un bene di lusso.
Bisogna poi stare attenti, perché ci sono dei prezzi onesti che è possibile accettare di pagare per esporre, ma anche delle richieste assurde, come quote valide soltanto per partecipare alle selezioni senza nemmeno esporre. In quel caso non accetto, non mi sembra giusto e nemmeno corretto nei confronti dell’artista.
Le cifre che chiedo per i miei dipinti sono molto oneste, altri artisti mi danno del matto perché troppo basse, ma io non riesco a chiedere di più, ho proprio bisogno di una galleria che faccia tutto il lavoro di marketing, non riesco a procurarmi clienti da solo, non sono portato per questo.
Io vado avanti con il mio lavoro, che non è un hobby ma un vero lavoro, perché non dipingo a tempo perso, disegno anche la notte, in ogni momento.
Più che vivere di arte bisognerebbe avere soldi da spendere per rendersi più visibili. Ad oggi ci sono diverse uscite dal mio portafoglio e poche entrate e le spese riguardano soprattutto i materiali. Le idee sono tante, mi rendo visibile su internet, dove sono seguito. Un’ idea commerciale che ho in mente è rendere le opere stesse una firma della mia arte. Un marchio".

Faccio notare: il quadro esposto in via Marconi pur essendo molto diverso da tutti gli altri tuoi lavori ha uno stile inconfondibile. Senza sapere con certezza che fosse tuo io l’ho immaginato al primo sguardo. Al colpo d’occhio si può dire “è un Enrico Fossati” ( o “è un Fofe”). Sorride.
“Il fatto è che se hai molti soldi riesci ad esporre dovunque. Io non sono un venditore, se dovessi occuparmi io di questo, andrei a perderci; era mia nonna che mi spronava in questo senso, a vendere. In tutto questo tempo infatt,i la mia famiglia, mia mamma e mia nonna, mi hanno sempre supportato e affiancato.  Mi sono state accanto anche se, ovviamente, bisognava lavorare e portare a casa i soldi. All’epoca (gli anni ’90) fare come prima scelta “il vivere d’arte” non era concepibile e nemmeno possibile. C’era bisogno di soldi. Pensa che con il mio primo stipendio ho comprato un aerografo. È durato un giorno. Il problema è stato che andava pulito ogni volta, mentre io che sono da pennello non l’ho fatto e l’ho otturato. Pagato 200 mila lire, ce ne sarebbero volute altre 100 per ripararlo. Buttato via. Quando gli amici mi chiedevano di dipingere i loro caschi da moto, lo facevo col pennello”.
Quali supporti utilizzi?
“Tela soprattutto, ma dipende anche dallo stile che voglio utilizzare. Io ho due stili principali, l’olio e poi il pennarello nero acrilico e la bic. La bic su tela è sprecata, devi usare un bel foglio, o un cartone. Quindi utilizzo tela e carta”.
Cosa ti spinge, cosa ti motiva?
“L’Arte è un po’ come un demone da cui se ti allontani ti ritira a sé. Più lontano cerchi di andare, più forte è invece il bisogno di continuare.”
Vorrei andare più a fondo nel significato delle opere, in modo particolare vorrei parlare delle figure umane stilizzate che all’osservatore potrebbero apparire simbolo di solitudine. Qual è il invece il loro vero significato?
Si anima mentre inizia a parlare, è percepibile al tatto la passione con cui si racconta.
“Le mie figure indicano una profondità interiore e di prospettiva. Un quadro o un’opera senza una profondità non è niente, non c’è movimento senza un uomo e senza la sua ombra soprattutto. Senza ombra non sei vivo, sei un fantasma. L’ombra oltra a indicare la vita implica la presenza di un sole che ti colpisce, della luce come opposto. L’ombra ti colloca in un punto, e questo punto non è una solitudine ma è guardare una profondità, guardare un orizzonte, un qualcosa che è grande. Non mi piace la solitudine perché non rientra nel mio modo di essere, forse la solitudine è solo visiva, perché io mi immagino quest’uomo in mezzo al nulla, alla profondità, al deserto di colore che ha intorno”.
In questo modo stai quindi celebrando la presenza dell’uomo, per collocarlo e dargli il suo posto nel mondo?
“Gli dono la vita in mezzo ai colori, le figure di uomini sono sempre in mezzo ai colori. Gli regalo una compagnia e gli creo un ambiente, mi piace scoprire quanta profondità riesce a dare. Nell’ultimo lavoro ho tentato di rendere la profondità con le forme. Le diverse forme creano da sole il movimento ma, ad esempio, aggiungendo un omino nero con la sua ombra, cambierebbe tutto. Sto creando una cosa completamente nuova. Ora è fermo lì e per me non è finito, non riesco a staccarmi. Lo sarà, ma per il momento è giusto che non lo sia perché aumenta la mia voglia di fare. Io non mi sento mai arrivato a nulla.”

Vorrei concludere questo ritratto dell’artista con un’altra sua frase: “La vera spinta è il desiderio di migliorarsi e creare qualcosa che ti piace ancora di più. L’arte è evoluzione e ricerca e non si ferma mai, perché se si ferma muore”.
L’Arte a Bovisio Masciago ha trovato uno strumento d’espressione.

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